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Area archeologica nella Tenuta di San Rossore


Scoperta un'area archeologica nella Tenuta di San Rossore

Pisa, 12 dicembre 2013 -  La scoperta riasale a fine novembre. Grazie alla collaborazione tra l’ufficio conservazione dell’Ente Parco e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sono stati eseguiti saggi di scavo nel “meandro di San Rossore”, nella ex tenuta presidenziale e all’interno dell’area protetta regionale, che potrebbero aprire nuove prospettive per la sua valorizzazione anche in chiave storica e culturale.

La necessità di effettuare tali test era emersa durante uno studio su base storico-cartografica che prendeva in esame l’evoluzione della linea di costa del litorale pisano tra il XVI e il XIX secolo, sviluppato dal Dipartimento di Scienza della terra dell’Università degli studi di Firenze, anche con l’ausilio di immagini rilevate da satellite.

Ai primi risultati parziali, presentati a Marco Piccardi e Enzo Pranzini alla conferenza sul turismo, le specie invasive e la conservazione delle dune costiere tenutasi a San Rossore nel mese di marzo di quest’anno, ha fatto seguito un sopralluogo, condotto nell’estate, che ha portato al rinvenimento in superficie di frammenti di materiale da costruzione e di ceramiche, prontamente consegnati alla Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana.Sulla base di questi primi e incoraggianti risultati e del fatto che l’elaborazione delle immagini da satellite sembrava evidenziare, in questa zona, anomalie ancora da interpretare, l’Ente Parco ha concordato con la Soprintendenza archeologica l’avvio di un saggio di scavo che, in caso di risposte significative, avrebbe dovuto essere considerato propedeutico a una successiva campagna di indagine archeologica.

La documentazione storica prodotta ed esaminata dai due ricercatori ha permesso l’individuazione di due aree interne all’area della Tenuta di San Rossore che in epoca medievale rimanevano a sud dell’Arno: una volta superata la città, in passato il fiume presentava infatti una serie di meandri, spostandosi lievemente più a nord di adesso all’altezza di Barbaricina, per poi insinuarsi in modo più marcato verso sud nell’area della Vettola e formare infine, all’altezza dello stradone delle Cascine, che collega Cascine Vecchie e Cascine Nuove, una nuova ansa a nord, il cosiddetto “meandro di San Rossore”.

In questa zona, sulla sponda meridionale dell’antico fosso delle Murelle – il toponimo è di per sé significativo – il saggio di scavo effettuato sotto la direzione scientifica della Soprintendenza ha messo in luce una struttura muraria tagliata dallo stesso fosso e legata a una seconda struttura ortogonale posta sulla sponda settentrionale del fosso.

Da un punto di vista tecnico, le murature sono realizzate «con ricorsi in pietra sbozzata legati con malta tenace e inserti di laterizi»; i materiali ceramici («maiolica arcaica pisana, anforette acrome da liquidi, maiolica rinascimentale») in associazione alle murature collocherebbero le strutture in un periodo compreso tra la fine del XIV secolo e il primo Cinquecento.

Le testimonianze storiche e iconografiche e i documenti a disposizione degli studiosi – anche in considerazione del fatto che l’area interna al meandro non è mai stata abitata in epoca recente – restringerebbero il campo delle ipotesi sull’identificazione delle strutture individuate alla casa colonica di “Schotto/Stoldo da Varna”, edificata in periodo tardo medioevale su quelli che erano i terreni del Capitolo della Cattedrale di Pisa, o ai resti del monastero di San Lussorio, fondato nel 1084 e abbandonato verso la fine del XIII secolo o agli inizi del XIV.

Le reliquie del Santo furono qui conservate dai monaci benedettini già presenti nei territori della tenuta, che da allora prese il nome del martire, poi ribattezzato, nel linguaggio popolare, “San Rossore”.

I lavori in quella che potrà diventare un’area archeologica di estremo interesse, anche in prospettiva di valorizzazione della storia della Tenuta di San Rossore, su cui l’Ente Parco sta fondando parte importante delle future attività di fruizione, riprenderanno a primavera, con un’indagine archeologica più approfondita, che prevede l’asportazione, del terreno più superficiale dell’area, attualmente utilizzata a fini agricoli; nel frattempo proseguiranno le ricerche di carte e manoscritti negli archivi toscani, così come l’elaborazione delle immagini satellitari.

(tratto da: La Nazione, Pisa)

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